Milano
fideiussioni omnibus giulia pianca

Fideiussioni Omnibus

le zone d’ombra nella sentenza 41994/21 delle SS.UU. 

di avv. Giulia Pianca

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1.

La recente pronuncia delle Sezioni Unite, n. 41994 del 30 dicembre 2021, in tema di nullità delle fideiussioni omnibus conformi allo schema ABI, è stata ampiamente commentata ed è stata accolta come risolutiva del contrasto interpretativo sulla validità delle fideiussioni stesse. Ad un più attento approfondimento, qualche dubbio persiste e l’applicazione in concreto del principio di diritto enunciato lascia spazio a non poche incertezze. 

Per chi non conoscesse l’argomento e non avesse letto le nostre precedenti newsletters, è opportuno un breve riassunto.  

Nel 2002, l’Associazione Bancaria Italiana (ABI) aveva predisposto uno schema negoziale per i contratti di fideiussione omnibus, individuando le condizioni contrattuali utilizzabili dagli istituti di credito nei rapporti con la clientela, creando così un modello uniforme. Detto schema ABI ebbe una ampia e diffusa applicazione presso la maggior parte delle banche, finché Banca di Italia – su parere dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – avviò un’istruttoria per presunta violazione della normativa anticoncorrenziale, conclusasi con il provvedimento n. 55, del 2 maggio 2005, con il quale gli artt. 2, 6 e 8 del testo ABI furono dichiarati in contrasto con l’art. 2 della legge antitrust (l. 287/90). I succitati articoli riguardavano, rispettivamente: (i) la reviviscenza; (ii) la validità della fideiussione (anche in caso di invalidità dell’obbligazione principale) e (iii) la deroga alla disciplina dettata dell’art. 1957 cod. civ. (in tema di onere in capo al creditore di attivarsi entro il termine di sei mesi). Dette clausole furono ritenute abusive.  

Il provvedimento diede origine ad una giurisprudenza ondivaga, divisa tra chi riconosceva la nullità totale del contratto riportante le predette clausole, chi la nullità parziale e chi solamente la tutela risarcitoria.  

 E’ in questo contesto “disorganico”, che sono state chiamate a pronunciarsi le Sezioni Unite, le quali hanno ravvisato nella fattispecie in esame un’ipotesi di nullità parziale. In estrema sintesi, la pronuncia ha escluso la nullità dell’intero contratto (a meno che le parti dimostrino che non lo avrebbero stipulato anche senza le tre clausole) ed ha riconosciuto ai garanti sia la tutela reale, con l’eliminazione delle tre clausole richiamate, sia una tutela risarcitoria, con la ripetizione dell’indebito e il risarcimento dei danni, cumulabili tra loro. Alla sentenza è stato da subito attribuito un forte valore nomofilattico, illusorio di una scontata liberazione per i sottoscrittori di fideiussioni omnibus. Tuttavia, a nostro avviso, le Sezioni Unite non hanno chiarito alcune importanti e per nulla scontate questioni, che potrebbero portare a diverse interpretazioni.  

 

2.

In particolare, un aspetto che non è stato approfondito dalla Corte Suprema e che potrebbe influire sul giudizio di nullità, riguarda il comportamento rilevante del fideiussore, successivamente alla richiesta di adempimento. 

L’art. 1423 cod. civ. stabilisce che il contratto parzialmente nullo non possa essere convalidato. Ciò potrebbe impedire che il contratto conservi comunque i propri effetti? 

Si parta dalla seguente considerazione. L’art. 1957 cod. civ., in tema di fideiussione, prevede l’onere in capo al creditore di attivarsi entro il termine di sei mesi, onde evitare la liberazione del fideiussore. Spesso accade nella pratica, che sia lo stesso debitore (o il fideiussore) a richiedere alla banca di sospendere temporaneamente le attività recuperatorie, prospettando un accordo, che il più delle volte si sostanzia in un piano di rientro.  

Sono gli stessi garanti e i debitori principali ad avere l’interesse economico alla conservazione dell’operazione bancaria. Ma la sospensione temporanea delle azioni giudiziali, nell’interesse dei predetti, non dovrebbe ricadere negativamente sulla banca, poiché sarebbero proprio i destinatari delle azioni a richiedere il mancato rispetto del termine di sei mesi, rinunciando ad avvalersi della nullità. 

Bisogna, quindi, considerare come possa essere valutato il comportamento delle parti rispetto alla clausola nulla, fermo restando che il contratto è comunque valido. Alla luce del generale principio di conservazione del negozio, la volontà delle parti potrebbe essere interpretata come finalizzata alla rinnovazione della clausola nulla, con i termini che riprenderanno a decorrere. Non convalida della precedente, quindi, ma rinnovazione della clausola, con la produzione di nuovi effetti come voluto dalle parti, ivi compresa anche la parte che avrebbe potuto avvalersi della nullità stessa. 

Quanto precede può avere un ulteriore significato se attribuito all’intero contratto, avendo riguardo alla sua conservazione. A seguito della dichiarazione di nullità della clausola, che impone al contraente la rinuncia ad avvalersi della decadenza per l’inutile decorso del termine di sei mesi, questo rivive e l’inadempimento della banca, per non essersi attivata entro i sei mesi, produce i suoi effetti estintivi. Tuttavia, la richiesta di sospendere le istanze contro il debitore, piuttosto che far valere la nullità o la decadenza, possono confermare implicitamente la volontà di mantenere l’impegno di garanzia. Le prescrizioni dell’art. 1957 cod. civ. sono derogabili, totalmente o parzialmente e sono anche tacitamente rinunciabili. Ora, se il debitore ha richiesto la proroga del termine per l’adempimento del debitore principale, se non ha eccepito la decadenza, se ha riconosciuto l’esistenza del credito dopo lo spirare del termine di decadenza, si potrebbe sostenere che la volontà della parte è andata nella direzione di derogare la norma e di rinunciarvi. La conseguenza è analoga agli effetti prodotti dalla clausola dichiarata nulla dalla Suprema Corte, rinnovatisi per nuova e tacita volontà della parte. 

A ciò si aggiunga, che le norme che regolano la fideiussione prevedono che la volontà di prestare fideiussione non debba essere espressa necessariamente in forma scritta (art. 1937 cod. civ.). E’ sufficiente, infatti, che sia palesata la sicura volontà di volersi obbligare e che siano precisati i contenuti della garanzia. Così ragionando, un’eventuale rinegoziazione dei termini della fideiussione, ferme restando le altre disposizioni, può essere intesa come manifestazione di volontà di volersi nuovamente obbligare, a prescindere dalla nullità della clausola. Tale argomento è ancora più fondato, se si guarda a quella giurisprudenza che ritiene che la prova della volontà di impegnarsi fideiussoriamente possa essere data con ogni mezzo, anche con presunzioni.  

E ancora, in termini generali, non potrà non tenersi conto di quanto previsto in materia di conversione del contratto nullo. L’art. 1424 cod. civ., infatti, stabilisce che “il contratto nullo può produrre gli effetti di un contratto diverso […] qualora, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, debba ritenersi che le stesse lo avrebbero ugualmente voluto se ne avessero conosciuto la nullità”. La giurisprudenza intende la “diversità” di cui alla norma, nel senso ampio del termine, ossia con riferimento non solo a un negozio di diverso tipo, ma anche a un negozio dello stesso tipo, ma con contenuto diverso. Potrebbe argomentarsi, dunque, qualora sia il fideiussore stesso a (ri)trattare i termini di rientro (prima ancora che la banca si attivi nei sei mesi e a discapito della clausola ritenuta nulla), che lo stesso avrebbe comunque prestato la propria garanzia, anche senza la clausola stessa (si pensi all’esempio del fideiussore, che è anche socio della società). Parimenti, dovrebbe ritenersi che la banca abbia interesse ad accettare tale diverso negozio, dal momento che l’alternativa sarebbe l’assenza completa della fideiussione, con palese limitazione della tutela del credito.  

Vi è il caso, poi, che per ragioni di temporanea difficoltà economica del debitore principale, sia proprio quest’ultimo o il garante stesso a chiedere una rateizzazione del debito, ricadendo così nell’ipotesi di riconoscimento di debito, oppure di promessa di pagamento (art. 1988 cod. civ.). Detti istituti producono l’effetto di invertire l’onere della prova dell’esistenza del debito ed interrompono la prescrizione a favore del creditore. Parte della giurisprudenza attribuisce già tale effetto nei confronti del garante. La fattispecie sopra rappresentata, inoltre, potrebbe essere intesa anche come promessa unilaterale del terzo (art. 1987 cod. civ.). Non vi è, infatti, chi non riconosca valore impegnativo alla dichiarazione espressa in modo “preciso” ed “attuale”. Si pensi poi, al diverso caso in cui sia il fideiussore a pagare parte del debito (ad esempio, nel caso del genitore garante), prima ancora che la banca abbia tentato di recuperare il credito nell’arco dei termini di legge. Anche in tal caso, non manca chi ravvisi in detta fattispecie un adempimento da parte del terzo (art. 1180 cod. civ.), ove è il soggetto stesso, di sua iniziativa, ad adempiere l’obbligazione. 

Tutti i succitati istituti rappresentano negozi giuridici che esulano da un intento anticoncorrenziale delle banche, ma originano dalla volontà stessa delle parti. 

Quanto sopra, evidenzia l’incontro di (nuove) esigenze negoziali, con l’effetto che il contratto modificato in alcune parti dovrebbe risultate immune dalla censura della Suprema Corte. Caso per caso, bisognerebbe valutare la reale volontà delle parti, in funzione dell’interesse in concreto perseguito, al di là della seriale riproduzione delle 3 clausole ritenute abusive. Si entra così nel campo dell’interpretazione della volontà delle parti, tema che da sempre presta il fianco a diverse interpretazioni giurisprudenziali.  

 

3.

Altro aspetto, non del tutto pacifico, è il problema dell’onere della prova. Il tema deve essere affrontato in relazione al periodo di sottoscrizione della fideiussione, rispetto all’accertamento del comportamento anticoncorrenziale. 

Premesso che la parte che eccepisce l’illiceità del contratto è tenuta ad allegare e dimostrare tutti gli elementi costitutivi della fattispecie – tra cui la conformità della fideiussione allo schema ABI, nonché la perdurante esistenza dell’intesa illecita (all’epoca della sottoscrizione del contratto) – in passato i Giudici si sono divisi tra chi aveva riconosciuto un trattamento differente a seconda che la fideiussione fosse stata antecedente, coeva o successiva al provvedimento sanzionatorio della Banca d’Italia (n. 55 del 2 maggio 2005, nello specifico, il periodo dell’istruttoria è iniziato nel novembre 2003 e si è concluso a maggio 2005). 

Un primo indirizzo ha riconosciuto al succitato provvedimento, valenza di “prova presuntiva qualificata”, capace di provare di per sé l’esistenza di un accordo anticoncorrenziale ed un conseguente danno al fideiussore. In questi termini, per fondare la propria azione reale, al garante sarà sufficiente allegare e produrre il provvedimento della Banca d’Italia, spettando all’istituto di credito l’onere di dimostrare la circostanza che la garanzia “a valle” non dipende dall’intesa anticoncorrenziale “a monte”. Tale indirizzo ritiene che detta valenza probatoria “privilegiata” sia estendibile anche alle fideiussioni concluse in un periodo successivo al 2005. Ciò agevola di molto la posizione del garante, in quanto gli sarà sufficiente produrre il proprio contratto incriminato e il provvedimento della Banca d’Italia, onde permettere al giudice di constatare la corrispondenza alle 3 clausole ABI, per ritenere che la banca continui pacificamente a fare applicazione di pattuizioni frutto di un’intesa anticoncorrenziale. Questa soluzione, tuttavia, non è condivisa da tutti. 

Un secondo indirizzo, infatti, ritiene che i contratti di garanzia stipulati successivamente al provvedimento della Banca d’Italia (così come quelli antecedenti al periodo dell’istruttoria di cui sopra) non possano godere di siffatta prova agevolata, dovendo, in tal caso, tornare ad espandersi l’onere probatorio in capo all’attore. Il motivo è ravvisabile nella collocazione temporale del comportamento illecito. Se i controlli sono terminati a maggio del 2005, con il provvedimento di censura, successivamente a tale data, non vi sono elementi per sostenere a priori che le Banche abbiano persistito in tale comportamento, come non vi sono per il periodo precedente. 

Per tale ragione, l’attore sarà tenuto a provare tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, compreso quello della perdurante esistenza dell’intesa illecita, all’epoca della sottoscrizione del contratto, non potendosi ritenere implicitamente provata in forza della mera allegazione del provvedimento della Banca d’Italia. Ma quali sono gli strumenti atti ad adempiere a detto onere probatorio? La prova non è semplice e le pronunce non sono univoche sul tema. Gli Ermellini avrebbero potuto chiarire la questione e porre fine alle continue sentenze di segno opposto emesse dalle Corti, ma così non è stato. 

Per assolvere tale onere, bisognerà produrre in causa, oltre alla propria, altre distinte ed analoghe garanzie rilasciate a favore di altri istituti, o comunque, da questi utilizzate. Lo scopo è quello di evidenziare il persistente utilizzo del modello adottato successivamente al 2005 e di dimostrare la natura illecita dell’intesa, quale concertazione uniforme da parte delle banche (ex multis: Cass., 28 novembre 2018, n. 30818). Trattasi di prova delicata da istruire e da non sottovalutare per evitare pronunce di rigetto, per mancanza di prova. Uno strumento a disposizione per ottenere la documentazione di difficile reperibilità, ritenuto ammissibile dalla giurisprudenza, è l’istanza di esibizione ex art. 210 cod. proc. civ., con la quale l’attore può chiedere l’esibizione del modulo standard utilizzato da altri istituti bancari per le fideiussioni omnibus, in epoca coeva a quella di stipulazione della garanzia oggetto di causa (Tribunale di Milano, 25 maggio 2022).  

 

4.

Infine, vi è un altro tema su cui le Sezioni Unite non si sono espresse in modo chiaro. Anche la questione relativa all’estendibilità della nullità parziale alle fideiussioni per operazione specifica non è stata trattata nello specifico. Sul punto, la giurisprudenza di merito ha da tempo evidenziato forti contrasti interpretativi e un intervento “supremo” avrebbe aiutato a fare finalmente chiarezza.  

Tuttavia, per assurdo, la pronuncia della Corte sembra quasi aver acuito i contrasti. Ed infatti, secondo alcuni Giudici la questione della nullità affrontata dalle Sezioni Unite riguarderebbe unicamente le fideiussioni omnibus (non essendoci traccia, tra le righe della pronuncia, di alcun riferimento alle garanzie specifiche), sicché i principi di diritto ivi contenuti non sarebbero in alcun modo applicabili alla fideiussione specifica, ancorché riproduttiva degli artt. 2, 6, 8 dello schema ABI del 2002. Stando a siffatto orientamento, la clausola riguardante la deroga all’art. 1957 c.c., deve intendersi pienamente valida ed efficacie, dato che la relativa pattuizione è rimessa alla disponibilità delle parti, così come devono intendersi pienamente valide, le clausole di “sopravvivenza” e di “riviviscenza”, in quanto poste a tutela di un interesse di natura privatistica – quindi con esclusione di un interesse di ordine pubblico – e rientranti nell’esercizio dell’autonomia negoziale delle parti. 

Vi è, però, un’altra parte della giurisprudenza che non la pensa allo stesso modo e che legge nella pronuncia della Suprema Corte un’apertura ad una diversa e più globale interpretazione. Alcuni Giudici, infatti, hanno (a nostro avvisto, correttamente) ritenuto che pur essendo vero che l’accertamento della Banca d’Italia riguarda unicamente le fideiussioni omnibus e pur essendo vero che la pronuncia delle Sezioni Unite si riferisce direttamente a quest’ultime, nulla impedisca alla parte interessata di dimostrare che anche nel caso di fideiussioni specifiche gli istituti di credito abbiano applicato uniformemente lo schema incriminato, in conseguenza di una intesa a “monte” e che, quindi, vi sia stata una violazione della normativa antitrust. La differenza, ancora una volta, risiede nell’onere della prova. In tal caso, infatti, il garante non si potrà avvalere della prova privilegiata fornita dal provvedimento della Banca d’Italia e di cui giovano le fideiussioni omnibus e ciò, neanche con riguardo alle garanzie sottoscritte in epoca anteriore e/o coeva al provvedimento stesso. Occorrerà, pertanto, fornire la prova che vi sia l’uniforme applicazione dei modelli contrattuali utilizzati per le fideiussioni specifiche e che questa uniforme applicazione sia frutto di una intesa a “monte”. Sul punto, le interpretazioni sono varie e probabilmente richiedono ulteriori approfondimenti, ai quali si spera potranno dare risposta i prossimi interventi giurisprudenziali. 

In conclusione, la Corte Suprema è stata adita per pronunciarsi sulla nullità delle fideiussioni che riportano le tre note clausole anticoncorrenziali, ma non ha chiarito altri rilevanti aspetti, destando grande e giustificata perplessità. Tempi duri per la Giustizia, in quanto, oggi, ogni garante riterrà doveroso correre in Tribunale per essere liberato dal vincolo fideiussorio, eccependo che le clausole della fideiussione relative alla reviviscenza, alla sopravvivenza ed alla deroga all’art. 1957 cod. civ., determinerebbero la nullità “relativa” (o “assoluta”, per chi ci prova) della garanzia rilasciata. E’ senza dubbio vero che ogni questione giuridica va rispettata, ma si deve temere che avremo tante pronunce di segno opposto… stiano pertanto attenti i sottoscrittori di garanzie. 

Le considerazioni che precedono permettono di dare il giusto “peso” alla pronuncia delle Sezioni Unite, accolta con grande favore da parte del popolo dei fideiussori, ma i margini di dubbio sugli aspetti segnalati e le possibili interpretazioni da parte dei giudici di merito, impongono cauto ottimismo e, comunque, grande prudenza. 

 

 

Studio WMR 
Avv. Giulia Pianca