Milano

Studio WMR

Come si evolve la responsabilità degli amministratori nelle società di capitali 

(alla luce delle novità legislative e dei recenti orientamenti giurisprudenziali)

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1.

L’argomento non è nuovo e già ce ne siamo occupati nelle precedenti newsletter (rinvenibili nel nostro sito www.wmrlaw.it), ma alcune pronunce giurisprudenziali ci inducono al tentativo di presentare un quadro riassuntivo delle norme comportamentali, che gli amministratori delle società di capitali devono conoscere per non incorrere in responsabilità, spesso sottovalutate. 

 

2.

Il contesto sistematico è complesso e deve considerare le norme codicistiche, il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (C.C.I.I.) e i precedenti giurisprudenziali. Il tutto espresso in poche righe, quindi si esclude a priori l’esaustività dell’esposizione. 

Partiamo dai doveri imposti alle imprese e agli amministratori, con o senza deleghe. 

Gli assetti organizzativi: l’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi di impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale (art. 2086, secondo comma, cod. civ.).  

Ai fini che qui interessano, dobbiamo considerare la necessità degli assetti organizzativi e il dovere di superare la crisi in un’ottica di continuità. 

Codice della crisi: richiama il dovere per l’imprenditore collettivo di cui sopra, indicando le disposizioni atte alla tempestiva emersione della crisi (art. 3, commi due e tre, C.C.I.I.). 

Amministratori: agli amministratori è riservato in via esclusiva il compito (dovere) di predisporre gli assetti organizzativi e, ove ne ricorrano i presupposti, di dare tempestivo accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza, informando i soci (art. 120 bis, commi uno e tre, C.C.I.I.). 

 

3.

Veniamo ora ad esaminare quali sono le norme comportamentali a cui deve attenersi il diligente amministratore. 

Primo, agire tempestivamente in accordo con quanto precedentemente esposto; secondo, agire in modo informato, chiedendo agli organi delegati le informazioni relative alla gestione della società (art. 2381, sesto comma, cod. civ.). Gli organi delegati sono responsabili dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile e devono riferire al consiglio di amministrazione e al collegio sindacale (comma 5, stesso articolo). La mancata informazione non esime da responsabilità gli amministratori senza deleghe. 

Due sono le sentenze che si sono prese in esame, da cui trarre alcune utili riflessioni: Tribunale di Milano, sez. spec., 6 ottobre 2022 e Tribunale Bologna, sez. spec., 1 febbraio 2023, n. 165, entrambe in tema di responsabilità gestoria. 

Con specifico riguardo agli amministratori privi di deleghe si riscontra, spesso, il tentativo di giustificarsi con l’assenza di operatività gestoria e l’assenza di informazioni. Ciò non è sufficiente, di per sé, per escludere la responsabilità. 

Tutti gli amministratori devono attivarsi affinché il consiglio di amministrazione compia al meglio il proprio dovere di vigilanza, impedendo il compimento o il protrarsi di comportamenti illeciti. Il non conoscere non giustifica, laddove vi sia la possibilità di conoscere. “Conoscere” e “conoscibile” si equivalgono, proprio in conseguenza del dovere di agire informati, di cui si è precedentemente detto. 

Pertanto, non costituiscono esimenti la mancata partecipazione a determinate assemblee o riunioni del c.d.a., il mancato esame dei bilanci e della contabilità sociale, l’assenza di flussi informativi. Al contrario, tale inattività configura manifestazione di disinteresse, negligenza e colpa inescusabile. 

Agli amministratori non operativi si chiede di ricercare adeguate informazioni e di non fermarsi davanti a formali relazioni del comitato esecutivo o degli amministratori delegati. 

I poteri di iniziativa dell’amministratore sono molteplici e particolarmente “ficcanti”, a partire dall’annotazione del dissenso nel libro delle adunanze e delle deliberazioni consiliari, allertare il presidente del collegio sindacale, sino all’impugnazione delle delibere consiliari, se assente o dissenziente. 

L’attività degli amministratori senza deleghe deve ispirarsi al seguente principio: fare uso della diligenza richiesta per conoscere condotte censurabili che siano facilmente conoscibili. Diversamente, risulterebbero violati i loro doveri, poiché non è consentito invocare alcuna scusabile ignoranza, né di non essere stati informati dall’amministratore delegato. Vige il dovere di attivarsi per assumere le più idonee contromisure, volte ad evitare o limitare il danno conseguente ad operazioni disposte da altri. 

 

4.

La mancata adozione di idonei assetti organizzativi viene ad assumere il connotato della grave irregolarità ed è causa primaria e determinante di una gestione societaria non corretta. 

I precetti contenuti nell’art. 2086, cod. civ. e nell’art. 3 C:C.I.I. sembrano, dalla semplice lettura, un’allitterazione del Legislatore. A ben vedere, rispondono ad esigenze differenti, ma tra loro coordinate ed entrambi portano alla responsabilità degli amministratori, se disattese. 

Il primo attiene alla disciplina generale dell’impresa e alla corretta gestione societaria e imprenditoriale, la cui inosservanza è di per sé fonte di responsabilità, a prescindere dalla crisi e risponde all’esigenza di tutela di interessi terzi e generali, ricoprendo in modo più ampio i profili organizzativi. Tale violazione è ancor più grave, quando la società non si trovi in crisi, poiché, proprio in tale fase, essa ha le risorse anche economiche per predisporre con efficacia dette misure. 

Il secondo, collocato nei principi generali delle nuove norme in tema di crisi e insolvenza, riguarda la necessità di costituire adeguate misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi per assumere le iniziative necessarie al superamento e il recupero della continuità. Il terzo comma definisce quali debbano essere le caratteristiche di tali assetti, definendoli in funzione delle finalità. Tanto più celere sarà la reazione dell’imprenditore, tanto più probabile sarà il risanamento. 

La collocazione dell’art. 3, nel Codice della Crisi, aiuta a definirne i contorni, se letto in relazione agli strumenti a disposizione dell’imprenditore per evitare la fase liquidatoria, che oggi, alla luce degli interventi normativi comunitari, deve essere intesa come extrema ratio. L’assetto organizzativo, cui fa riferimento l’art. 3, deve essere in grado di rendere disponibili al management i flussi informativi per la misurazione dell’equilibrio finanziario e per l’esecuzione del test previsto per l’accesso alla composizione negoziata della crisi, ma anche per la predisposizione del test pratico e la compilazione della check-list prevista dal decreto dirigenziale (disponibili sul sito della Camera di Commercio). 

 

5.

Alla luce dei precedenti giurisprudenziali richiamati, considerati gli interventi legislativi societari e concorsuali, si può quindi concludere, che la mancata adozione degli assetti organizzativi è fonte di responsabilità per gli amministratori, anche se privi di deleghe, per non essersi diligentemente attivati, senza per altro dimenticare, che la responsabilità degli stessi è stata meglio delineata dai riformati artt. 2476 e 2486 cod. civ. per la mancata conservazione del patrimonio aziendale.

 

 

Studio WMR
avv. Wolfango M. Ruosi